Mi sono convinta che ci sono delle situazioni estive che ti fanno capire con sconcertante evidenza quali sono le cose importanti nella vita. Il che non è poco, nello stato paranoico e confuso in cui molto spesso viviamo durante l'anno. Se hai almeno 40 anni e frequenti da almeno 15-20 anni lo stesso bagno nella stessa località di mare, sai che cosa intendo. Sbarcando ogni estate sulla "stessa spiaggia, stesso mare" trovi più o meno le stesse persone, con cui inevitabilmente scambi almeno qualche chiacchiera. Questa stagione ho ritrovato un signore di una certa età (80 anni?), ancora in forma, abbronzato e sveglio di testa. Da due estati compare in spiaggia senza la moglie, morta di tumore, ed è strano vedere solo la metà di quella che era una coppia. Ma questa è la vita. Il signore in questione non ha giustamente rinunciato alle vacanze al mare. Si è organizzato per venirci da solo, gestire la casa, il pranzo e la cena in solitaria. In spiaggia però trova i conoscenti di una vita, con cui chiacchiera e condivide, se è il caso, anche i suoi pensieri dopo la tragica perdita. Racconta di quando lavorava sulle piattaforme petrolifere in giro per il mondo. Stava via un mese intero, per poi rientrare a casa qualche giorno e ripartire. Il lavoro all'estero è stato importante per lui: gli ha permesso di vivere bene, fare le vacanze, togliersi qualche sfizio. Il figlio però non l'ha visto molto in quegli anni. Non ha potuto seguirlo nella crescita come avrebbe voluto. Una mancanza che ha cercato di colmare occupandosi della nipote. Appena ha saputo del suo arrivo ha provato a capire se poteva andare in pensione ("Allora avevo solo 52 anni e mi vergognavo ad andare in pensione, come si fa?") per poterla curare, insieme alla moglie, senza ricorrere a tate. Così ha fatto e quando parla della nipote, oggi quasi trentenne, gli si illuminano gli occhi. Da questa semplice storia, che può essere la storia di chiunque, ho capito un paio di cose fondamentali: il lavoro è importante, ci mancherebbe, ma lo sono anche gli affetti, il prendersi cura. Anche quando si perde una persona cara, la persona con cui si è condivisa la vita, bisogna cercare di andare avanti e fare le cose che ci piace fare: andare in vacanza al mare, nuotare, immergersi, trovare una grossa conchiglia e regalarla a un bambino. Mio figlio questo signore lo ricorda, infatti, per la grande conchiglia che gli ha regalato. Io per gli involontari insegnamenti.
primula
Un segno di primavera
lunedì 4 settembre 2017
sabato 29 luglio 2017
Della serie frasi che mi hanno colpito
A volte - nella incessante ricerca di rimuovere la sofferenza - ci si tormenta di più. Magari una sana accettazione di un momento duro può essere una rinascita. (Dario Brunori, in arte Brunori Sas)
venerdì 30 giugno 2017
La moda etica in Italia c'era già
Oggi si parla tanto di moda sostenibile, di processi in grado di integrare etica ed estetica e di innovazione responsabile nel fashion. Pare che i Millennials siano molto più interessati alla sostenibilità ambientale e sociale rispetto alle generazioni precedenti e poiché questa è la generazione dei consumatori di oggi e di domani, da parte delle aziende della moda e del lusso - grandi o piccole che siano - si è scatenata la corsa a fare della sostenibilità il nuovo asset della crescita. Ci sono convegni, vengono commissionate ricerche e pullulano le iniziative sul tema. Però c'è qualcosa che non torna. In Italia, almeno, avevamo una filiera del tessile-abbigliamento dagli standard molto elevati nei confronti del rispetto dei diritti dei lavoratori e della salvaguardia del territorio in cui le attività, sia esse di tipo artigianale che industriale, si svolgevano. Avevamo (e abbiamo) leggi su leggi che regolano la condotta delle imprese e pure avevamo (e forse abbiamo ancora) imprenditori illuminati, legati al territorio e alla comunità. Avevamo anche i fantastici distretti della moda!
Eppure alcuni decenni fa, in nome del profitto, abbiamo scelto di delocalizzare e nel contempo di non salvaguardare le nostre produzioni, mettendole sullo stesso piano di quelle a basso costo e, di conseguenza, scarse garanzie di sostenibilità, provenienti, ad esempio, dall'Asia. Ora ci accorgiamo che il tessile-moda è spesso un'industria "macchiata di sangue", come ci ricorda la tragedia del Rana Plaza avvenuta nel 2013, quando nel crollo di un edificio in cui si confezionavano capi per conto di noti marchi internazionali della moda a basso prezzo, morirono alla periferia di Dacca, in Bangladesh, 1.138 persone e altre 2.500 furono mutilate o ferite.
La verità è che si è smantellato con troppa facilità e rapidità un sistema moda basato su significative conquiste e sulla sensibilità degli imprenditori, a favore del far west del low cost, di cui negli ultimi due decenni abbiamo celebrato le aperture di negozi e i trionfi. Ma ora sembra che il mercato chieda esattamente quello che in Italia eravamo così bravi a fare ed è disposto a pagare per questo: capi di qualità, fatti di materie prime ecologiche come la lana, utilizzando sostanze il meno possibile tossiche per il consumatore finale e inquinanti per il territorio. Il fatto di avere una legislazione di un certo tipo e sempre pronta ad alzare l'asticella in fatto di tutele ci aveva messo già anni fa nelle condizioni di realizzare una moda etica. Naturalmente passibile di miglioramenti nelle performance, ma già caratterizzata da buoni livelli. Ora accade che la moda etica sia di moda. Intanto però noi significativi pezzi di quella prestigiosa filiera del tessile-abbiglimento li abbiamo persi per strada. Che peccato!
martedì 27 giugno 2017
Caccia alla milanese chic
Se la parigina chic per eccellenza è Inès de la Fressange, modella, stilista e icona di stile, che ha dato alle stampe "La Parigina - Guida allo chic" e "Come mi vesto oggi? Il look book della Parigina", in cui dà consigli alle donne su come vestirsi per essere sempre impeccabili e "stilose", chi fra le signore meneghine, di origine o di adozione, meriterebbe oggi il titolo di milanese chic? Prima di lanciare il sondaggio, bisognerebbe però chiarire in cosa consiste esattamente la milanesità quando si parla di stile. Molti hanno provato a descrivere questa attitudine, anche in tempi recenti, quando le giornaliste di moda, che per lavoro frequentano le fashion week di tutto il mondo, si sono accorte della speciale eleganza che accomuna le milanesi invitate dagli stilisti alle loro sfilate in città. Ne sono nati articoli, decaloghi e addirittura guide.
Quello che emerge, facendo una summa di questo materiale variegato e composito, è che la donna in questione ha un'anima profondamente borghese, pratica e riservata. Alla milanese chic non piace ostentare. Ai tacchi preferisce la ballerina. Alla gonna il pantalone a sigaretta che arriva alla caviglia: è più comodo e svelto da indossare. E poi le sta bene il pantalone a sigaretta, perché è magra e tonica, a volte anche muscolosetta. Essere sovrappeso non va bene, per la salute e per l'estetica. Predilige le linee pulite e i colori classici. Sembra aver assimilato negli anni la lezione di stile di re Giorgio Armani, quasi senza accorgersene. Su questa base "neutra" innesta qualche "chicca". Magari pezzi full color di impronta active, quando si sente particolarmente in forma, giovane e dinamica, reduce da una vacanza consacrata allo sport e al benessere. Oppure un capo, un accessorio o un dettaglio etnico, che fa tanto viaggiatrice colta, quale in effetti è. O ancora un pezzo vintage di una griffe storica, che nella maggior parte dei casi non proviene da un negozietto specializzato, ma da un armadio di famiglia ed è questa la grandiosa prova di eleganza autentica, non improvvisata. La lady in questione potrebbe dire: "Non sono chic solo io, lo erano anche la mia mamma e la mia nonna". Ma è una frase che non pronuncerà mai. Rimane però come sottinteso.
La milanese chic è una donna che fa tante cose nella vita, si dà da fare e non vuole rinunciare a niente. Per gli spostamenti in città predilige la bicicletta, mezzo ecologico e che dà l'opportunità di dare un contributo alla forma fisica, oltre le lezioni in palestra. Ma sale con aria disinvolta anche sul tram, dove si distingue per la classe: non grida dentro il cellulare in conversazioni infinite. Si limita a poche rapide battute. Con le amiche è bello chiacchierare tête-à-tête, sedute ai tavolini di una pasticceria di Brera o ancora più intimamente in un ampio living con tanta luce e vista su uno scorcio significativo della città più "stilosa" e segreta del mondo. Vi ritrovate nell'identikit o avente individuato chi potrebbe incarnare la nostra Inès? La ricerca alla milanese chic per eccellenza è aperta.
giovedì 4 maggio 2017
Soggetto per un romanzo
Visto che pateticamente mi diletto a sognare un futuro da scrittrice, ho elaborato il soggetto di un romanzo. Ve lo propongo qui sotto. Si accettano commenti, pareri, idee.
Per ragioni fortuite sono entrata in possesso della trascrizione (fatta da una nipote) delle lettere originali che un uomo della Valchiavenna, emigrato in Argentina alla fine del 1924, ha mandato alla moglie e ai due figli piccoli rimasti al paese. Le lettere sono datate dal 1925 al 1935 (all'inizio sono più frequenti, poi si diradano) e permettono di ricostruire la vicenda di Gilberto Tacchini, emigrato in Argentina, come altri suoi parenti e compaesani, per far fronte ai debiti della famiglia e cercare fortuna. Nonostante Gilberto si sposti di continuo per fare lavori temporanei, umili e pesanti (nei forni, dove si cuociono mattoni, oppure alla "coseccia", ossia alla raccolta del mais e del lino), all'inizio è ottimista. Manda spesso soldi a casa. E' convinto che in Argentina si possa vivere meglio e chiede e spera che la famiglia lo raggiunga presto. Nelle lettere successive si colgono, tuttavia, segnali di difficoltà e disagio. Nel 1929, con la crisi economica mondiale, l'Argentina sprofonda nella miseria e Gilberto Tacchini non riesce più a trovare lavoro: non manda più soldi a casa e diventa impossibile per lui racimolare quelli necessari per il viaggio di ritorno. Nel frattempo la moglie, Giuseppina Pilatti, rimasta in Valchiavenna, in virtù del fatto di essere figlia di un ferroviere, ottiene un lavoro in ferrovia al casello. Ha una relazione con un uomo del posto e, dopo una gravidanza tenuta nascosta, intorno al 1930 partorisce un bambino morto. Con la speranza di non creare scandalo al paese e con la complicità della suocera, che vive con lei, cerca di dargli sepoltura di notte nel cimitero di Campo di Novate Mezzola. Le due donne vengono viste e denunciate. Non vengono condannate ma la giovane perde il posto in ferrovia. Continua la relazione con l'uomo, anche perché questi rimane l'unica fonte di sostentamento per la famiglia. Da questa relazione, ormai stabile e consolidata, nel 1934 nasce un bambino e nel 1940 una bambina. L'ultima lettera del marito Gilberto Tacchini è datata 7 luglio 1935. Il silenzio che segue testimonia probabilmente la scoperta della verità da parte dell'uomo e la delusione che prova. Molti compaesani si trovano, infatti, in Argentina e sono in contatto tra loro. E' emigrata, fra l'altro, la sorella di Gilberto, Maria, che lui detesta. Non hanno scambi e, quando lei ritorna nel 1932 in Valchiavenna, Gilberto non vuole che frequenti sua moglie. In paese si vocifera che sia tornata con la sifilide. Si ammala e muore di lì a poco. Anche il cognato Emilio Pilatti, fratello della moglie, si trova in Argentina dal 1913 e sembra che riesca a fare fortuna, come i fratelli Ettore e Achille che lo raggiungono in seguito. Anche con loro, tuttavia, non ci sono rapporti. Gilberto Tacchini rimane un uomo solo, isolato e testardo, la cui unica colpa è forse però solo quella di aver sbagliato i tempi del viaggio della fortuna. Muore di stenti in Argentina nel 1942, all'età di 47 anni. Nello stesso anno Giuseppina Pilatti, diventata ufficialmente vedova, sposa il padre dei suoi ultimi due figli. Le lettere di Gilberto Tacchini ritrovate dalla nipote (figlia del secondo figlio avuto da Giuseppina Pilatti con Gilberto Tacchini) permettono a quest'ultima di conoscere e apprezzare in qualche modo il nonno, di cui in famiglia non ha mai saputo nulla, se non che era emigrato e morto in Argentina.
I personaggi principali sono Gilberto Tacchini e Giuseppina Pilatti.
Per entrambi la motivazione è sopravvivere e provvedere alla famiglia.
I mezzi che hanno a disposizione sono molto diversi, trovandosi l'uno emigrato in Argentina e l'altra sola con i figli e la suocera al paese in Valchiavenna.
La posta in gioco è la vita stessa.
La storia di entrambi è raccontata dal narratore in modo speculare al di qua e al di là dell'Oceano ed è scandita dalla trascrizione fedele di alcuni passi delle lettere che Gilberto manda a Giuseppina.
Ne vorrei trarre un affresco di quel periodo, narrato in modo avventuroso e coinvolgente, un po' alla Isabel Allende, tanto per avere un riferimento che apprezzo per questo genere di storie.
giovedì 6 aprile 2017
Il mio primo racconto
Poiché che mi sono definita presuntuosamente scrittrice, il minimo che posso fare è pubblicare qui un racconto. Trattasi della mia prima prova. Abbiate comprensione. Il tema poi non è dei più leggeri.
Il carapace
Non penso mai alla mia morte. Se dovessi immaginarla, vorrei che fosse come quella toccata alla mia nonna materna. Vorrei che avesse le stesse modalità e i medesimi effetti nelle persone che sono rimaste dopo di lei.
Non penso mai alla mia morte. Se dovessi immaginarla, vorrei che fosse come quella toccata alla mia nonna materna. Vorrei che avesse le stesse modalità e i medesimi effetti nelle persone che sono rimaste dopo di lei.
Mia nonna Tina è morta nel primo pomeriggio di una assolta giornata di luglio. È morta nel suo letto, in quella che noi chiamiamo la stanza del vescovo (per l'enorme testata del letto), nella casa di pietra in montagna. La grande casa, allora già ristrutturata e parcellizzata, che un tempo era stata dei miei bisnonni e che ha sempre rappresentato un punto di riferimento delle nostre lunghe vacanze estive. Mia nonna Tina è morta mentre faceva la siesta dopo pranzo. Negli ultimi tempi si stancava facilmente e faceva la siesta. Un'abitudine acquisita quando la malattia che aveva e il cortisone che prendeva l'avevano ridotta a una tartaruga, piegata sotto il suo guscio.
L'abbiamo trovata distesa nel suo letto. La faccia ieratica. Le ciabatte appaiate ai piedi del letto. Il comodino con poche cose in ordine. Nessun indizio che si sia sentita male, che abbia cercato aiuto o presagito la fine. Semplicemente il suo grande cuore si è fermato.
Per noi, certo, è stato un choc trovarla così ferma e senza vita. Io però non ho avuto paura. Mi sono allungata di fianco a lei e ho cercato di tenerla legata ancora un po' alla nostra intimità, di sentire per l'ultima volta il suo profumo di fiori e di fresco. Il profumo di mia nonna, che infinite volte si era coricata con me quando ero piccola ma anche quando ero grande e malata. Tutte le volte che ne avevo bisogno. In quel preciso istante ho capito che quello che abbracciavo era solo l'ingombrante involucro di mia nonna Tina. La sua essenza, compreso il suo profumo di fiori e di fresco, stava evaporando in una nube che viaggiava verso l'alto, per poi espandersi e diffondersi in ogni molecola d'aria.
Mia nonna Tina ora è in ogni luogo. La sua morte non mi ha dato dolore, perché si è solo liberata del suo carapace. Sarò in grado anch'io di morire così? Non ho la sua grandezza esemplare. Mi lamento troppo. Sto cercando di imitare il modello, ma è dura. Riuscirò mai a essere per i miei figli e i miei nipoti il solido approdo che era lei? Sarò capace di essere presente a loro in spirito, anche quando il mio corpo si trasformerà in un guscio vuoto?
mercoledì 22 marzo 2017
Solo la bellezza dei posti che ci accolgono ci salverà
Possibile che della mia vita di prima mi manchi soprattutto la location? Non sto scherzando. Alla faccia dei colleghi e dei rapporti interpersonali, del lavoro in se stesso, della professionalità e della creatività che potevo più o meno esprimere, della mia vita di prima mi manca soprattutto il fatto di non essere più tutti i giorni nel cuore di Milano. Mi manca lo sbarco a Cadorna in mezzo alla folla dei lavoratori in marcia verso l'ufficio. La sensazione di far parte di una sorta di magma umano che inesorabilmente va dove deve andare. Mi manca la pausa colazione bis da Ranieri (fra i migliori croissant della città!), dietro il teatro Dal Verme. La piazza senza auto e i tavolini delle Tre Marie, davanti alla Pinacoteca Ambrosiana. E soprattutto mi manca l'incredibile vista della Madonnina che avevo dalla finestra alle spalle della mia postazione di lavoro, al terzo piano di un palazzo storico. La bellezza e la vitalità del centro di Milano possono infliggere nostalgia. Lo mettiamo in conto. In compenso la mia nuova condizione di freelance mi fa godere maggiormente, da un lato, della mia casa, che ho scelto personalmente in ogni materiale e dettaglio, e, dall'altro, di una grande libertà di movimento. A casa mia sto bene. Mi piace quasi tutto quello che mi circonda. Anche se percepisco con un certo disappunto che ci sarebbero un po' di lavori e sistemazioni da fare. Quelli ci sono sempre e puntualmente vengono rimandati a tempi migliori. (Da quanto tempo vorrei mettere a posto con un criterio plausibile le due librerie di casa?). Però, dai, casa è casa, con tutti i suoi comfort. Quando invece vago per Milano, fiera del mio nuovo nomadismo lavorativo, per la prima volta nella mia vita, me la prendo comoda. Parto con un certo anticipo. Cosa mai fatta. Quando lavoravo al giornale lasciavo la redazione per un evento o una conferenza stampa già in ritardo e trafelata, con nelle orecchie la frase della capo servizio: "Non metterci le tende là dove vai". Ora, nel piacere del mio tempo ritrovato, ne approfitto per vagabondare un po' ed esplorare le zone di Milano in cui sono approdata. Recentemente ho bazzicato Porta Nuova e corso Como, trovandole particolarmente affascinanti e stimolanti. Consiglio di entrare nell'Illy Caffè di piazza Gae Aulenti e sedersi nella sala dopo il bancone, magari gustando un ottimo cappuccino. Da un lato, quello verso l'ingresso, si vedranno i grattacieli della piazza con l'Unicredit Tower in prima linea, dall'altro, quello verso il fondo, tipiche case della Vecchia Milano: una commistione fra presente e passato molto suggestiva. Un vero piacere per gli occhi e per lo spirito. Ah... (grande sospiro ispirato)… Solo la bellezza dei posti che ci accolgono ci salverà!
giovedì 16 marzo 2017
Mosse da grandi passioni
Mi piacciono e mi ispirano le donne che hanno avuto il coraggio e la forza di orientare il loro percorso, in base alle loro inclinazioni più vere. Ne conosco diverse e tutte mi sembrano di grande intelligenza e personalità. C'è, ad esempio, l'allenatrice di Patu. Pare abbia una cartoleria di famiglia, in cui lavora rispettando dei turni, ma ha una passione incredibile per il minibasket, a cui non ha assolutamente rinunciato, pur avendo - questo l'ho scoperto di recente e mi ha sconvolto - quattro figli delle più svariate età, da seguire. E' un piacere vederla in palestra. Comunica competenza, solidità e rigore. Sa sgridare, spronare e lodare. Durante l'allenamento improvvisamente scivola a terra sulle ginocchia con le braccia alzate, sembra che chieda a un plotone di soldati di non essere fucilata. In realtà, assume quella posizione di resa per permettere ai bambini di averla come avversaria e incoraggiarli a fare cambio di mano e di direzione. Non si risparmia. Nel weekend organizza con un giro di WhatsApp partite supplementari per far giocare tutti, così da quella di campionato soltanto si arriva anche a tre/quattro match in due giorni, alcuni dei quali in trasferta. Come farà questa donna? A muoverla è sicuramente la grande passione per quello che fa. Forse il pensiero che lo sport, la fatica e le regole formino i ragazzini. Non lo so. Ha una forza fuori dal comune.
martedì 14 marzo 2017
Polpa per il cloro
Primi sintomi di smarrimento. Ieri ero alla lezione di aquagym e ho avuto il primo piccolo insidioso sentimento di inutilità della mia nuova vita, con molti meno impegni e corse rispetto alla precedente. Me ne stavo immersa nella piscina durante la lezione di aquagym (perché adesso vado ad aquagym, tre volte alla settimana, alle 12.45!!!), saltellavo su un piede e poi sull'altro, con le braccia sospese sopra la testa in movimento (avete presente la scena di Harry ti presento Sally, in cui Meg Ryan saltella, pure lei smarrita, in palestra?), e mi sono sentita estranea alla mia stessa vita. Cosa ci faccio io qui a ballonzolare nell'acqua a mezzogiorno, quando il mondo corre veloce e la metropoli là fuori mi chiama, per dare il mio contributo di fatica e sudore alla realizzazione di non si sa quale obiettivo titanico e salvifico. Mi sembra una colpa fare una cosa solo per me e per il piacere di farla. Quanto ci condizionano i vissuti precedenti, i retaggi culturali, gli esempi visti in famiglia? Devi produrre. Sempre e comunque. Se no, non sei nulla. Solo polpa, tanta, per il cloro. Superpiccoly continua a combattere, dentro e fuori dall'acqua.
mercoledì 8 marzo 2017
8 marzo e sciopero della sanità, dei trasporti e della scuola
8 marzo e sciopero della sanità, dei trasporti e della scuola: non è una buona notizia per le donne. Non mi piacciono i discorsi triti e ritriti sul ruolo della donna che vengono fatti in questa occasione. Vorrei solo scrivere che servizi decenti in fatto di sanità, trasporti e scuola aiuterebbero parecchio la causa. Se le donne devono affermarsi sul lavoro, ma anche combattere con il centralino del centro unico di prenotazione delle visite mediche, perdere ore inutili sulle banchine di qualche stazione dimenticata da Dio senza un treno che passi e avere i figli fuori dalla scuola prima dell'orario consueto, è dura.
giovedì 2 marzo 2017
Primo giorno a casa
Ieri, primo marzo, è stato il mio primo giorno senza lavoro, trascorso per fortuna senza noia e indulgenze alla casalinghitudine: un atteggiamento che mi fa orrore. Almeno finora ho sempre odiato le madri dalla vita vuota, oltre il raggio ristretto della casa e della famiglia. Quelle che sono contente di andare a comprare il pane fresco e di fare capannello con due o tre simili fuori dalla scuola dei figli, qualche pettegolezzo vacuo e via. La mia vita non sarà così. Magari non produrrò mai più reddito, ma le mie giornate saranno immensamente più ricche: lo prometto. Leggerò tanti libri, approfondirò l'inglese e scriverò… Che meraviglia: ho sempre sognato farlo in questi 15 anni di lavoro full time e over time (si può dire così?)… Ma perché allora dovrei aver paura della casalinghitudine e delle mamme povere di spirito?… Boh… Ieri sono uscita praticamente alla stessa ora di sempre. Solo un treno dopo: alle 9 invece che alle 8.50. Ho avuto un incontro che potremo definire di lavoro se effettivamente in lavoro si trasformerà e poi sono andata in una tipografia a definire la grafica e i contenuti dei miei nuovi biglietti da visita: un'attività che mia ha molto stimolata e intrattenuta anche nel pomeriggio, quando a casa con i miei figli abbiamo valutato le bozze che ci ha mandato il tipografo via mail. La sera ho frequentato un corso, di cui magari vi racconterò dettagliatamente in seguito, a cui mi sono iscritta piuttosto impulsivamente. Della serie: presto sarò a casa, attacchiamoci al primo corso in partenza per dare un senso a questa nuova fase della mia vita e non finire come quelle felici di prendere il pane fresco e fare la battuta scema fuori dalla scuola dei figli. Bambini e ragazzi che forse le detestano pure perché - a fronte di oggettivi vantaggi e comodità nell'averle a casa - percepiscono che le madri riversano su di loro aspettative che in realtà sono personali e non si sa per quale motivo vi abbiano precocemente rinunciato a favore dei figli. E fate qualcosa voi in prima persona! In realtà questo è un argomento assai spinoso. Alla prossima!
sabato 25 febbraio 2017
Una nuova vita o quasi
E' stato buffo per me rileggere come mi presentavo cinque anni fa nel profilo di questo blog (leggi sotto), nato allora. Sono passati cinque anni e molte fasi… Mi riconosco nella descrizione, ci mancherebbe: ci sono ben passata in quella situazione di mamma lavoratrice, sempre di corsa e con l'ansia di fare tutto bene… Ora le cose però sono un po' cambiate… I miei figli sono più grandi (11 anni Pupette e 7 Patu), ragionevoli e autonomi… Dei micro adulti che, per fortuna, se la cavano bene nel loro mondo, fatto di scuola, sport, amici, nonni e parenti… Anche la mia situazione lavorativa è mutata… Sto per spiccare il volo e provare a diventare giornalista professionista freelance e scrittrice… Questo blog mi accompagnerà anche in questa avventura, permettendomi di mettere a fuoco le mie ragioni e i miei sentimenti, come forse solo la scrittura consente di fare. Dopo avermi fatto compagnia nel narrare la vita con i figli piccoli e le peripezie fatte allora, il mio diario online, che si intitola "Regalami una storia...", mi farà da "specchio" in questa nuova fase. "Regalami una storia…" vuol dire: tu dammi lo spunto per una storia, che io te la scrivo bene. Presuppone un atto di generosità e fiducia nell'altro. Elementi fondamentali per affacciarsi a una nuova vita o quasi. In bocca al lupo, Superpiccoly!
- Mi manca un soffio per varcare la soglia dei 40, ma mi sento ancora nel pieno delle forze e ci mancherebbe! Nata e cresciuta in una valle del profondo Nord (e da qui si capiscono alcuni lati del mio carattere, un po' ombroso, calvinista e poco incline alla socialità e all'auto-promozione), vivo appena fuori Milano con la mia famiglia, messa su in fretta e furia, ma tutto sommato felicemente, con Crissy, poco più grande di me d'età ma molto di più d'altezza (tanto da avermi soprannominata Superpiccoly!). Attualmente la family è composta da me, Crissy, Pupi di sei anni e Patato di due. Tutti i giorni prendo il treno delle Nord per recarmi a Milano, dove ha sede la rivista di moda, in cui lavoro come redattrice full-time. Qui mi faccio un discreto mazzo. Ma anche di prima mattina, quando preparo i pupi per le relative scuole e ce li accompagno, e la sera, quando cerco di colmare la mia assenza di tutto il giorno con giochi, coccole e racconti, la fatica non è poca. Ma in questo caso la soddisfazione c'è! Basta guardare quanto sono belli e intelligenti i miei frugoletti!
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